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Redazione
Il Giornalismo con la “G” maiuscola spiegato alla generazione Zeta
Blogger, Influencer, City journalist ... comunicatori improvvisati, oppure giornalisti del terzo millennio


ROMA (Italy) - Tra Blogger, Influencer, City journalist, nonché giornalisti specializzati ed isctitti all'albo professionale, oggi il mondo è pieno di personaggi pronti ad informare secondo un proprio stile e dettato, sia personale che professionale. Ecco quindi che “i post millennials” appassionati di ‘comunicazione & giornalismo’ si trovano disorientati sulle scelte opportune o meno in materia di ‘proprio futuro’. In termini pratici, il 'blogger' è colui che si reinventa comunicatore qualunque sia il proprio mestiere. L’ 'influencer' si scopre comunicatore orientando le scelte altrui. La figura di 'city journalist' è invece riservata a chiunque nella vita di tutti i giorni fa tesoro di quello che i suoi sensi percepiscono per poi tramutarli in informazione per se o per altri. Il Giornalista e il Giornalismo, quello con la “G” maiuscola, lasciamo invece che lo spieghi l’autore della importante riflessione personale e professionale che segue: Arnaldo Travaglini, (arnaldotravaglini.it) già caporedattore e responsabile di redazione della Gazzetta del Mezzogiorno.

Pensavo a cosa scrivere in un articolo che dovrebbe in sostanza parlare del futuro del giornalismo. Qualcosa di tecnico o sufficientemente convincente da trasmettere le motivazioni che mi hanno spinto a scegliere questa professione, più di 35 anni fa. Ma le uniche parole che mi vengono in mente sono solo quelle che dico ai miei quattro figli tutte le volte che mi chiedono che lavoro sarebbe meglio fare “da grandi”. Premesso che nessuno di loro intende fare il giornalista, e non so se debba rallegrarmene o chiedermi il perché, non credo sia giusto prefigurare uno scenario, qualunque esso sia, che possa in qualche modo condizionare la vita o le scelte di un giovane oggi.

Sicuramente il modo di fare giornalismo è cambiato e continuerà, nel tempo, ad adeguarsi alle evoluzioni della società, dei mezzi di comunicazione, più social e web e meno carta stampata. Ma resto della convinzione che qualunque sia lo scenario futuro di questa professione, come di qualunque altra, non è sulla previsione di ciò che “potrebbe accadere” che si può basare una scelta di vita.

Immaginiamo che io decida di scrivere che il settore della comunicazione sarà sempre più competitivo, che ci saranno sempre meno fondi per l’editoria - e di conseguenza anche meno possibilità di assunzioni - o che nella maggior parte delle volte il vostro lavoro sarà contestato da un gruppo di lettori su twitter o facebook, o che sarete licenziati perché il giornale per il quale scrivete sarà chiuso, oppure ancora che sarete lavoratori precari per tanti anni.

Oppure adesso immaginiamo che io scriva che fare il giornalista è il lavoro più bello del mondo, perché l’adrenalina che senti, quando sei coinvolto in una inchiesta, quando si alternano notti insonni, feste comandate inesistenti, viaggi all’estero senza biglietto di ritorno, è uno stato mentale al quale non puoi rinunciare.

Oppure che vi racconti che non c’è possibilità di programmare cene con gli amici, pranzi in famiglia. Chiamare a casa per avvisare: sto tornando. E un minuto dopo richiamare, tra mille scuse, ma è scoppiata una bomba o c’è stato un omicidio, e no, non lo sai quando tornerai. Per non parlare dei periodi elettorali. Pizza in redazione, tirare fino all’alba per preparare le pagine per il giorno dopo, interviste, malcontenti, minacce, lusinghe e rimorsi, tanti, per aver promesso a mio figlio che sarei andato a vedere la sua partita di basket ma proprio non sono riuscito a staccare prima.

E poi c’è il potere della penna. Grande, inebriante, pericoloso. Innegabile non ammettere la pressione o il clamore mediatico che una notizia può generare. Impossibile sottovalutare la forza della comunicazione e il desiderio di farne parte. Ed infine c’è lo specchio. In che senso penserete voi. Nel senso della dignità che questo lavoro richiede. Della responsabilità alla quale è chiamato il giornalista che con le sue parole può condizionare una opinione. O alla corresponsabilità di chi lo fa con ignavia, chiudendo gli occhi quando la situazione non gli conviene. O ancora della lealtà che si deve ad un lavoro che può difendere e tutelare la libertà delle persone o limitarla anche solo con un titolo.

Allora penso a mio padre, a quando da bambino mi diceva che la sera ci si deve guardare davanti allo specchio, e lì, faccia a faccia con la propria coscienza, non si può mentire a sé stessi. Credo che sia questo in fondo, il punto di partenza e di arrivo di ogni professione. Avere la “schiena dritta” per non perdere mai di vista i principi e i valori che ci guidano, anche quando i tempi saranno duri e le difficoltà non mancheranno. Solo così saremo in grado di affrontare i mille sacrifici che l’essere giornalista spesso comporta.

Quindi a chi mi chiede come sarà nel futuro il mestiere di giornalista, mi sento di rispondere che non è importante saperlo, se prima non siamo pronti a decidere che persona vogliamo essere noi. Competenti, sicuramente. Appassionati e determinati ovviamente. Così mi auguro che siano tutti i futuri giornalisti. Fieri dell’importanza del lavoro che fanno, consapevoli del ruolo che occupano come membri di una comunità, ma prima di tutto rispettosi degli altri e di sé stessi, sempre e a qualunque costo. (Arnaldo Travaglini,
- arnaldotravaglini.it - già caporedattore, responsabile di redazione e inviato estero della Gazzetta del Mezzogiorno)


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