|
Anniversario
della strage di Capaci. Giovanni Falcone: l'uomo che
lo Stato prima abbandonò e poi pianse
La oscura vicenda dell'attentato di ben 26
anni fa. A
luglio, poi, l'autobomba e la morte di Paolo Borsellino
I
due magistrati erano odiati dalla mafia ... ma non certo
amati dallo Stato |
|
ROMA
(Italy) - Lo disse il generale
Carlo Alberto Dalla Chiesa e lo aveva ribadito proprio
Falcone: quando un uomo dello Stato, un uomo che lotta
contro la mafia, viene isolato, lasciato solo, ebbene,
quello è il momento in cui diventa una vittima
certa della mafia. E dopo di loro è poi toccato
a Borsellino e ai tantissimi agenti di scorta che hanno
subito spesso questa paventata compravendita di interessi
tra Stato e Mafia. Ogni sabato, o quasi, il giudice
Giovanni Falcone rientra in aereo da Roma a Palermo.
E dopo la sua bocciatura a superprocuratore è
solo! E la solitudine, per chi lotta contro la mafia,
equivale a una condanna a morte. Con
Francesca Morvillo e Giovanni Falcone muoiono anche
tre uomini della scorta.
|
Quel
sabato, il 23 maggio 1992, Falcone arriva
all’aeroporto di Punta Raisi con un volo da
Roma, sale su una Fiat Croma bianca in compagnia della
moglie, Francesca Morvillo, anche lei magistrato,
e dell’autista che viene mandato sul sedile
posteriore. È Falcone che vuole guidare, vuole
arrivare a casa in fretta e riposare; guidare lo aiuta
a scaricare la stanchezza e la tensione accumulate.
Ma a casa, Falcone non ci arriverà. Qualcuno
sta osservando la scena del suo arrivo all’aeroporto.
Vede anche le altre due auto di scorta del giudice.
Partono: davanti una Fiat Croma, colore marrone, con
tre agenti di scorta. In mezzo, l’auto del magistrato,
ancora una Croma, bianca. In coda, la terza auto.
In genere, dopo la partenza, le vetture si affiancano
per impedire qualsiasi contatto tra il giudice e altri
veicoli. Ma il pericolo non sono le auto, stavolta.
Coloro i quali stanno seguendo la scena, sono pronti
a mandare un messaggio a chi attende il passaggio
delle tre vetture. Un tratto autostradale controllato
dall’alto di una collinetta, all’altezza
dello svincolo per Capaci.
In
auto si discute della giornata politica, con l’imminente
elezione del nuovo presidente della Repubblica, del
caldo di un pomeriggio afoso, della bellezza del panorama
siciliano, magari anche del giorno dopo. Il corteo
non sa che su una strada laterale c’è
chi segue con attenzione, da un’altra vettura,
il viaggio verso Palermo di Falcone. Poi, il segnale
per chi sta sulla collinetta. L’uomo
che attende l’informazione si chiama Giovanni
Brusca ed è lì su ordine di Totò
Riina, il capo dei capi. Esplode l’autostrada,
500 chili di tritolo che mandano la prima auto a 60
metri di distanza, mentre quella del giudice si ferma
sotterrata dalla deflagrazione, sull’orlo del
cratere creato da quello scoppio sentito anche a chilometri
di distanza. È una scena apocalittica quella
che i soccorritori vedono quando arrivano sul posto,
con frammenti di lamiere e pezzi di autostrada rinvenuti
perfino a 500 metri di distanza. Con Francesca Morvillo
e Giovanni Falcone muoiono anche tre uomini della
scorta.
L'auto
su cui viaggiavano è un blocco di lamiere
accartocciate, vedendola si percepisce subito
cosa sia rimasto dei corpi di quei 3 ragazzi.
Il contachilometri della Quarto Savona 15 è
bloccato al numero 100.287 ma l'auto continua
a viaggiare in giro per l'Italia nelle tante
occasioni di eventi "antimafia". Il
pensiero va anche a Giuseppe Costanza, autista
giudiziario della blindata dove viaggiava Falcone
e ai poliziotti Angelo Corbo, Paolo Capuzza
e Gaspare Cervello che si trovavano nella terza
blindata. |
|
|
Falcone
è odiato dalla mafia, certo ma non è
amato dallo Stato. Quando arriva la
sua candidatura a superprocuratore, ecco che
invidie personali finiscono per decretare la
sconfitta del magistrato più celebre
del Paese. La protezione che si dovrebbe dare
a un giudice di quel calibro, nel mirino della
mafia, viene meno, nonostante i precedenti di
un attentato di quasi tre anni prima, alla villa
di Falcone, nella spiaggia dell’Addaura.
Un attentato misterioso che lascerà un
alone di sospetti su servizi deviati, connivenze
e commistioni fra uomini dello Stato e malavitosi,
una vicenda torbida su cui ancora oggi non c’è
chiarezza totale anche se appare sempre più
incombente l’ombra di un potere che non
solo fatica a combattere la mafia ma che talvolta
finisce per farsi addirittura complice della
piovra, magari in modo involontario o - quand’è
peggio - in maniera collusa. |
E mentre
fuori dalla cattedrale palermitana i fischi attendono
Scalfaro e gli altri politici presenti alle esequie,
dentro c’è una giovane donna, Rosaria
Costa, che parla al microfono dell’altare:
“Io vi perdono però dovete mettervi
in ginocchio se avete il coraggio di cambiare”.
Ha 22 anni e ha un figlio di quattro mesi; non ha
più il marito, Vito Schifani, 27 anni,
morto a Capaci, sulla prima auto di scorta a Falcone.
Schifani era alla guida, al suo fianco l’agente
scelto Antonio Montinaro; dietro,
l’agente Rocco Dicillo. Tutti
morti. Rosaria Costa, però, non ce la fa a
recitare la parte di chi deve cristianamente perdonare
e quel foglio su cui sono scritte le parole da recitare
non le serve più. Piange all’improvviso
e, tra i singhiozzi, dice quello che un po’
tutti pensano: “Ma loro non cambiano, loro
non vogliono cambiare”. Parole crude, tristi,
vere, tanto vere da far passare solo 58 giorni per
un’altra tragedia. Un’autobomba, un’esplosione
e la morte di un giudice, l’amico più
caro di Falcone, Paolo Borsellino. L’estate
di Palermo è l’estate delle bombe, perché
ha ragione Rosaria Costa, vedova Schifani: loro, i
mafiosi, non vogliono cambiare.
|
Da Milano
a New York con Emirates |
|
Viaggi
- Esperienze e Consigli per girare il mondo
|
|
Puglia:
natura, cultura e gastronomia
|
|
Miami
Beach News by Italia News |
|
|
|
Info
e consigli del Ministero degli Esteri italiano |
|
|
|
Istituzioni
& Sicurezza italiana |
|
|